Truffaut e Godard si incontrano in una piscina pubblica.
Truffaut possiede una piccola action cam che riesce a effettuare riprese fisheye.
I due registi sono stupefatti da questo piccolo aggeggio dalle grandi e particolari possibilità e così decidono di provarlo sopra e sotto l’acqua scambiandosi alternativamente i ruoli di attori, cameraman e registi.
Per fare ciò, oltre a improvvisare, si ricordano de “L’Atalante” (1934) del loro collega Vigo e si immaginano come possa aver eseguito riprese subacquee senza quella piccola action cam. 
Per una perfetta interpretazione si ispirano alla protagonista e alla sua controfigura de “Il mostro della laguna nera” (1954) che volteggia in maniera disinvolta tra le acque grigie del Rio delle Amazzoni.
Il sonoro curato direttamente da Godard, richiama quel senso di soffocamento che può indurre una lunga apnea in ambiente angusto.
Un lento scorrere di note provenienti da un vecchio pianoforte degli anni ’40 scandisce il tempo di ogni breve respiro che a volte precede le movenze subacquee e altre volte è il sollievo post-immersione che ridà vita ai sensi del corpo.
Il collage apparentemente casuale di tutta l’opera se visto con occhi attenti, dona allo spettatore quel senso di affanno che diviene sempre più acuto nel momento centrale del video, quello in cui vi è la ricerca di qualcuno o di qualcosa, forse di un varco per uscire dall’acqua e sopravvivere, fino alla redenzione finale dove l’ultima inspirazione sembra dare sollievo ad una figura immobilizzata nel tempo come le rughe dello star system .
Parafrasando il senso del video si ritrova in esso quel desiderio continuo di libertà dagli schemi imposti dal cinema codificato che immobilizza la creatività degli artisti rendendola prigioniera in acque limitate, quelle di una piscina, o minacciate da un mostro della laguna (il botteghino o in tempi moderni il numero dei like e delle visualizzazioni) o prive della presenza di una musa ispiratrice (la Juliette de L’Atalante).

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